Arte è amare l’errore

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Questa affermazione è incarnata dagli Organismi Artistici Comunicanti (OAC), custodi dell’idea che l’arte sia un processo strettamente legato alla vita come materia prima. Partendo dalla grammatica convenzionale, questi dispositivi non sono opere semplici da contemplare; mancano di una forma fissa e conclusa, somigliando piuttosto a un ‘tessuto-trama-cosmica‘ in continua evoluzione, composto da pigmenti metallici e organici in costante cambiamento attraverso reazioni chimiche, fermentazioni, alterazioni cromatiche e degrado.
I dispositivi principali della Pratica Performativa sono gli ‘Organismi Artistici Comunicanti (OAC)’, accompagnati nell’allestimento da foto in bianco e nero di corridoi e celle degradate, da fascicoli di un tribunale penale abbandonati a schiera, polverosi e aggrediti dal tempo, dall’umidità e dagli insetti. Impilati a terra come per proteggere i confini dei muri con gli intonaci scrostati e colorati da muffe. Porte con le sbarre in ferro, sedie e brande dell’arredo carcerario
Gli OAC così come le musiche, i video e le coreografie nascono grazie-e-per la pratica performativa qui proposta. Nell’ambito dell’esposizione gli OAC entrano in conflitto, tra scopo e accidente, tra natura estetica e natura etica, tra passato e presente, tra ciò che non è più e ciò che non è ancora.Tale conflitto, sottolineato dall’allestimento dinamico, persiste, creando una coesistenza ‘in tensione‘ che permea l’intera esperienza dello spett-attore.

L’obiettivo attivo che si vuole far emergere da questa pratica performativa, liberati dall’universo statico delle simbologie, è quello di farli diventare un autentico medium all’interno di uno sfondo relazionale.
L’esperienza degli OAC si svela nei suoi legami profondi con lo spettatore, coinvolgendolo in modo autentico e impenetrabile attraverso il suo corpo. 
Riconoscendo l’interconnessione tra natura e cultura, dove produciamo rovine, possiamo concepire tale dispositivo espositivo di convergenza come parte di un’esposizione in continua evoluzione. Non più una sintesi formale, ma piuttosto un tessuto, una trama di un vissuto inestricabilmente connesso.

 

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