Censimento ISTAT

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I numeri li dà una ricerca dell’Istat e del centro di statistica Cescat del 2020.

Secondo l’ultimo censimento Istat in Italia ci sono 7 milioni di edifici non utilizzati, fra cui più di 5 milioni di case, fabbriche, capannoni industriali, scuole, cinema, teatri, monasteri, negozi, uffici vuoti e ancora, ospedali, stazioni ferroviarie, cave e miniere abbandonate, ma anche beni confiscati alla mafia e “paesi fantasma”.
Negli ultimi 50 anni, come riporta il WWF, la superficie urbanizzata in Italia è aumentata di 600mila ettari, mentre la popolazione è cresciuta solo del 27%. Così il nostro Paese è passato da avere tante persone senza spazi a tanti spazi senza più persone. Con l’aumento degli spazi dismessi è cresciuto anche il fenomeno dell’“Urbex” (Urban Exploration), ovvero una pratica sul filo dell’illegalità che consiste nel visitare edifici abbandonati o dismessi.
La nuova crescente attenzione dei cittadini verso le condizioni di degrado dei beni pubblici, negli ultimi anni ha spinto le Istituzioni e varie associazioni a impegnarsi nel recupero dei beni abbandonati. Nel 2017 l’Agenzia del Demanio ha lanciato il progetto “Cammini e Percorsi“, che intende recuperare oltre 100 immobili pubblici lungo i percorsi ciclopedonali e storico-religiosi che attraversano tutta l’Italia per trasformarli in ostelli, hotel, punti di ristoro e assistenza per turisti e pellegrini. Due anni fa, il Governo ha stanziato 1 miliardo di euro per “Rinascita urbana”, un programma pluriennale innovativo per la riqualificazione e l’incremento dell’edilizia residenziale pubblica e sociale e per la rigenerazione urbana.

I siti pubblici abbandonati
Solo nel territorio romano i siti inutilizzati sono 195. “In oltre la metà dei casi si tratta di strutture pubbliche, le cui attività di recupero sarebbero pertanto teoricamente più ‘agevoli’, non prevedendo la preliminare fase di contrattazione con i privati proprietari”, si legge ancora. “Nello specifico, il 27,2 per cento dei siti è rappresentato da patrimonio disponibile o indisponibile dello Stato, il 15,9 per cento delle strutture appartiene al Comune di Roma (si tratta, per lo più, di ex alloggi di edilizia popolare, sedi o depositi delle società partecipate e strutture amministrative e ricreativo/culturali) e il 12,3 per cento rappresenta una categoria residuale (edifici scolastici, aree agricole, ecc.)”. Le strutture di proprietà privata, “costituite da abitazioni e complessi residenziali, ex fabbriche, casali abbandonati, sono invece 87 e rappresentano il 44,6 per cento del totale”.

I siti privati abbandonati
A questi numeri vanno aggiunte almeno 15 strutture militari dismesse o sottoutilizzate, con un’estensione complessiva di 82 ettari, e 3 tenute agricole in abbandono: la Tenuta del Cavaliere, che si estende per circa 300 ettari a fianco della via Tiburtina, quella di Castel di Guido, che rappresenta la più grande azienda agricola pubblica italiana, con un’area di circa 2.000 ettari e di quella della Mistica, che si estende su 33 ettari tra Tor Sapienza, Tor Tre Teste e Torre Maura.

I siti abbandonati divisi per municipio
La maggior parte di queste strutture abbandonate si concentra nei municipi centrali, dove l’antropizzazione è più antica e gli immobili più vetusti: 43 siti nel I municipio (il 22,1 per cento del totale); 19 siti nell’VIII municipio (il 9,7 per cento; VII e III municipio hanno 18 siti ciascuno, parti al 9,2 per cento del totale. Segue il V municipio, con 17 siti (pari all’8,7 per cento); il XIV municipio con 16 siti (8,2 per cento); XII e XV con 12 siti ciascuno (6,2 per cento); XIII municipio con 9 siti (4,6 per cento); XI municipio con 8 siti (4,1 per cento). E infine IX e VI municipio con 7 siti (3,6 per cento); IV municipio con 5 siti (2,6 per cento) e municipio II con 2 (2,1 per cento). L’unico municipio dove non è stata individuata alcuna struttura dismessa è il X municipio. All’interno del Municipio I, in particolare, sono ben 12 le strutture di proprietà comunale in stato di abbandono.

Il quadro europeo e nazionale
Roma non rappresenta un’eccezione nel panorama italiano ed europeo. I siti industriali dismessi e contaminati in Europa, secondo il censimento condotto dall’organismo della Comunità Europea (Clarinet), raggiungono il milione di unità. I dati relativi all’Italia, che risultano parziali, vedono nella lista 9mila siti.
Secondo dati raccolti dall’Istat, invece, in Italia i siti industriali ad oggi in disuso (contaminati e non) occupano una superficie di 900mila ettari, circa il 3 per cento del territorio nazionale, con un’estensione pari a quella delle Marche.
Una prospettiva ancora diversa è quella dell’indagine Ispra, che analizza i siti contaminati. Dei circa 30mila siti di interesse regionale individuati dall’Ispra, di cui 16.435 con procedimento di bonifica in corso e 13.258 con procedimento concluso, 1.038 sono nel Lazio e tutti risultano sottoposti a procedimenti di bonifica in corso. I siti di interesse nazionale, stabiliti in base a dimensioni, impatto e pericolosità, sono 41. Di questi, solo uno è nel Lazio ed è il bacino del Fiume Sacco, in provincia di Frosinone.

Le imprese non più attive
Incrociando i dati dei finanziamenti erogati dal ministero dello Sviluppo economico alle imprese che secondo le visure camerali risultano non più attive, risulta che nell’area metropolitana di Roma tra le 1.087 aziende beneficiarie degli 820 milioni di euro totali erogati sono state individuate 268 strutture non sono più in attività (545 considerando invece le unità locali), di cui 156 cessate, 97 con procedura fallimentare in corso e 15 non attive.
A livello territoriale, sono 86 le imprese beneficiarie e non più in attività localizzate nel Comune di Roma (185 le unità locali); elevato anche il valore di Pomezia (73 imprese e 124 unità locali), seguita da Ariccia (25 imprese) e da Albano Laziale (14 imprese). L’analisi relativa ai settori di attività mostra come il 59,3 per cento delle imprese dismesse operi nel comparto manifatturiero (167 unità in termini assoluti), in particolare nell’industria della stampa (22 imprese), nel comparto metallurgico, nell’industria del legno e della carta (entrambi con 21 unità) e in quello informatico, elettrico ed elettronico (20 unità), mentre circa 1 su 3 appartiene ai servizi (80 imprese, di cui 28 del commercio).

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